ONWARD – OLTRE LA MAGIA
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Un un universo fantasy che il progresso tecnologico ha reso uguale al nostro, l’elfo Ian è un adolescente come tanti, impacciato e poco sicuro di sé. Mamma Laurel e il vulcanico fratellone Barley non possono riempire del tutto il vuoto lasciato da un padre scomparso prima che Ian nascesse, ma per il suo sedicesimo compleanno il ragazzo riceve in dono un artefatto magico che può farlo tornare in vita per 24 ore. L’incantesimo riesce solo “a metà”, limitandosi a far apparire le gambe dell’elfo genitore e proiettando i due fratelli verso un’avventura contro il tempo per rivedere finalmente il volto del padre.
Prima storia originale Pixar a tre anni da Coco, Onward è una voce di buon livello nell’ormai ampio catalogo della casa di animazione Disney, dal sicuro impatto emotivo pur non essendo tra i più complessi o più ricchi dal punto di vista narrativo.
Opera seconda del regista Dan Scanlon, che aveva esordito con il prequel Monsters University nel 2013, Onward fa della semplicità la carta vincente, come quella che decide una partita di Magic pur non essendo la più alta.
Film sulla magia ma in realtà ancorato al quotidiano, racconta di un mondo fantastico che si è lasciato ammorbidire dalla comodità, e che, seppur non ridotto a un tutt’uno con i televisori come in Wall-E, ha quantomeno dimenticato il potere della magia relegando incantesimi e maledizioni alle pagine di libri e giochi di carte, e gli unicorni a darsi battaglia per i resti di spazzatura sul marciapiede. Con un titolo che torna a invocare una direzione, come in Up!, l’invito stavolta è a mettersi in strada (a bordo del furgone “Ginevra” scassato e dipinto, ovviamente) e a mettersi in gioco, sempre “avanti” e possibilmente senza scegliere la via più ovvia.
Ci riesce lo stesso Scanlon, perfino in un film dall’impianto già scritto come tutte le storie di mitologia e profezie: Onwardsi guadagna un terzo atto tutto da piangere perché sa sterzare gli affetti e ritrovare il legame tra fratelli in un universo di madri costrette a rincorrere e figure paterne amorevolmente vuote. Secondo manuale della factory Pixar, l’idea centrale è piccola e spesso personale, in questo caso nata dall’infanzia del regista trascorsa senza un padre, e l’esecuzione è abbastanza toccante da far dimenticare una visione del mondo fatta di vita di provincia, esaltazione di un passato perduto (e forse mai esistito) e ruoli familiari piuttosto conservativi.